TFR in busta paga. Un commento

Il Governo continua a fare annunci di provvedimenti senza valutare attentamente la normativa vigente. Ultima in ordine di tempo la proposta di mettere il TFR dei lavoratori in busta paga.
È bene ricordare in proposito che il TFR è salario differito e quindi già nella titolarità del lavoratore. 
Il riconoscimento in busta paga non è quindi un aumento di retribuzione o un bonus aggiuntivo riconosciuto dal Governo ma semplicemente un anticipo di quanto già spettante al lavoratore. Per la UIL in ogni caso un eventuale intervento legislativo in questa direzione deve prevedere che sia il lavoratore a scegliere liberamente come utilizzare il proprio TFR.
Nel merito il Presidente Renzi sembra comunque ignorare buona parte delle norme che attualmente regolano il trattamento di fine rapporto.

1) Il TFR può essere destinato alla previdenza complementare che, in questi anni, ha dato rendimenti medi sensibilmente superiori alla rivalutazione del TFR lasciato in azienda. Il TFR è infatti la principale fonte di finanziamento della previdenza complementare (articolo 8, comma 1, d.lgs. n. 252/05). Senza quel 6,91% della retribuzione versato al Fondo pensione – e stante le retribuzioni medie particolarmente basse ed incapaci di favorire il risparmio previdenziale - l’accantonamento sarebbe assolutamente insufficiente ad assicurare una copertura di secondo pilastro adeguata alle future esigenze previdenziali. Ricordiamo anche che la previdenza complementare era prevista dalla L. 335/95 come elemento indispensabile da affiancare al passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, per garantire tassi di sostituzione complessivi adeguati. Inoltre dal 1993 ad oggi il rendimento medio dei Fondi Pensione è stato nettamente superiore a quello del TFR. Come dimostra una recente comparazione del Corriere Economia: il TFR maturato e lasciato in azienda da un lavoratore in venti anni da 58.000 euro è diventato 75.749, lo stesso TFR destinato invece al Fondo Pensione di categoria è diventato 103.134 per effetto dei rendimenti ottenuti. Senza contare che la tassazione finale è poi molto più favorevole per la previdenza complementare, con un’aliquota del 15% ulteriormente riducibile fino al 9%, rispetto a quella gravante sul TFR che è data dall’aliquota marginale media degli ultimi 5 anni di lavoro. Nel solo 2013 i Fondi Pensione Negoziali hanno poi reso il 5,4% a fronte dell’1,7% del TFR che risulta quindi ampiamente battuto dalla previdenza complementare. TFR battuto anche se si allarga l’orizzonte temporale di valutazione. Dal 2000 ad oggi il rendimento dei Fondi Pensione Negoziali è stato del 48,7% a fronte del 46,1% registrato dal TFR. Inoltre il trend diinflazione si è costantemente ridotto negli ultimi anni pesando sensibilmente sul rendimento del TFR lasciato in azienda.

2) L’attuale normativa – per effetto della Legge di Stabilità del 2007 - prevede per le aziende con almeno 50 dipendenti che il TFR non destinato alla previdenza complementare transiti nel Fondo di Tesoreria del MEF. Così, su un totale di Tfr maturando di circa 22/23 miliardi, 5,5 miliardi vanno ai fondi pensione, circa 11 restano in azienda e 6 confluiscono a questo fondo. Che gestisce ormai oltre 30 miliardi di Euro. Quei soldi dovevano essere destinati al finanziamento di opere infrastrutturali mentre oggi finanziano spesa corrente. Questa situazione è stata più volte denunciata anche dalla Corte dei Conti. È evidente che una proposta che preveda di versare il TFR in busta paga dovrebbe anche prevedere l’abolizione di questo Fondo Tesoreria con conseguente interruzione di un flusso di circa 6 miliardi annui per le casse dello Stato. Il Governo intende quindi rinunciare a questo flusso?

3) Dalle dichiarazioni del Presidente del Consiglio si apprende che l’anticipo in busta paga del TFR varrebbe solo per il settore privato e non per quello pubblico. Se nella visione del Governo questa decisione costituisce un vantaggio per i lavoratori l'esclusione del comparto pubblico sarebbe una nuova pesante discriminazione per un settore già escluso dalla riforma della previdenza complementare attuata con il d.lgs. n. 252/05. Una situazione che sarebbe inaccettabile e priverebbe oltre 3 milioni di lavoratori di una possibilità di scelta offerta invece a tutto il resto del mondo del lavoro. Sarebbe peraltro singolare che lo Stato chiedesse alle aziende di anticipare il TFR dei lavoratori, privandole di liquidità a basso costo, e poi non lo facesse lui in primis come datore di lavoro pubblico.

4) In questi anni si è sviluppata in maniera esponenziale la cessione del quinto dello stipendio e quindi in molti casi il TFR è di fatto nella disponibilità delle finanziarie come garanzia del prestito. Il vincolo derivante dal contratto di cessione non permetterebbe quindi al lavoratore di avere il TFR disponibile in quanto verrebbe pregiudicata la garanzia del prestito contratto. Peraltro casi di parziale o totale indisponibilità del TFR sono molto frequenti e non riguardano solo le cessioni del quinto ma anche molte altre fattispecie (pignoramenti, vincoli per sentenza di divorzio, ecc.) la gestione delle quali è estremamente complicata e gravosa.

5)La quota di TFR riconosciuta eventualmente in busta paga andrebbe comunque sterilizzata ai fini fiscali, per evitare la beffa di un aumento delle tasse. Se il TFR anticipato fosse infatti tassato in via ordinaria avrebbe effetti sull’aliquota marginale, determinando un aumento della tassazione, ed il netto riconosciuto in busta sarebbe di conseguenza sensibilmente più basso rispetto alle cifre circolate in questi giorni. Peraltro a fronte di una tassazione del TFR destinato a previdenza complementare molto più vantaggiosa (15% ulteriormente riducibile fino al 9%). Siamo quindi in presenza di una materia molto complessa, ricordiamo pertanto al Presidente Renzi il motto che ispirava l’azione del Presidente Luigi Einaudi “Conoscere per deliberare”.