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Nuove figure e nuovi modelli

 

La RAI sta implementando presso le testate giornalistiche nuove tecnologie che comportano un nuovo modello produttivo e, in caduta, la modificazione delle figure professionali e dei loro mansionari. Si tratta di cambiamenti profondi, con un forte impatto sulla vita lavorativa dei colleghi e che rimettono in discussione il fare televisione dalla gestione della telecamera fino al modello societario.

E’ opinione della UIL che la formazione, destinata a un cambiamento radicale essa stessa, sia uno strumento fondamentale per accompagnare questo processo e per ridurre le inevitabili criticità che si incontreranno su questo cammino.

 

 

Per comprendere il tono un poco retorico appena usato, vale la pena di rivedere, in brevi cenni, il modello che stiamo abbandonando ma che sopravvive ancora nelle apparecchiature e nell’attuale contratto. Il vecchio modello produttivo analogico della televisione era erede del teatro per quanto riguarda lo spazio dello studio che riproponeva un modello di ripresa frontale (pensiamo al Delle Vittorie) e cinematografico per quanto riguarda il modello produttivo, in fondo tutte le figure professionali della produzione portano ancora nomi di derivazione cinematografica.. La produzione era un flusso che cominciava dall’ideazione, passava al casting, alla riunione di produzione per la quantificazione delle figure professionali coinvolte e dei mezzi da utilizzare, la realizzazione in studio, poi la post produzione e infine la messa in onda.

Il modello del TG, che per comodità si era adeguato a quello digitale posto in atto dal 2000 circa, prevedeva un flusso del prodotto anche questo riassumibile in una catena di cause ed effetti che comincia dalla riunione di direzione, passa alla redazione, alla ricerca delle immagini, alla copertura dei fatti più eclatanti, alla confezione dei servizi e alla loro messa in onda dalla regia dello studio; Poi un’area di post produzione dove vengono confezionati i servizi di approfondimento, l’elaborazione grafica.

In questo modello è evidente la centralità dello studio e la sua organizzazione del lavoro: qua confluisce il lavoro di tutti. Caratteristica di questo modello era l’alta specializzazione dei lavoratori e la parcellizzazione del lavoro (un montatore poteva passare la sua vita professionale senza aver mai visto uno studio di registrazione e le sue competenze non erano sovrapponibili a quelle di nessun altro in azienda). Il regista, a cui per altro era vietato toccare qualsiasi apparato che non fossero i pulsanti della messa in onda dei pezzi montati (al punto che per guardare nel viewfinder di una telecamera doveva avere il permesso dell’operatore) faceva un lavoro diverso che si trovasse in uno studio di produzione o presso quello di una testata.

Il nuovo modello digitale che è in via di implementazione nei Tg e nelle sedi potrebbe, anche se la ripartizione in spazi diversi è mantenuta per comodità, essere invece contenuto tutto in un solo ambiente, a cui aggiungere uno studio. Concettualmente è una specie di contenitore nel quale vengono immesse le immagini provenienti dalle agenzie o dal girato degli operatori, poi chiunque (dotato delle abilitazioni necessarie) può sedersi a una postazione di lavoro e, richiamando le immagini, il parlato registrato dalla stessa postazione e la musica, confezionare un audiovisivo più o meno lungo, A lavoro ultimato lo stesso autore può collocare la sua opera nella lista di messa in onda. Lo studio, di solito piccolo, non è più centrale ma è complementare a una messa in onda che potrebbe essere fatta di soli servizi. Alla luce delle indicazioni aziendali è ragionevole credere che si pensa ad un utilizzo solo giornalistico di questo modello ma che in realtà potrebbe benissimo sopportare un programma come “Sereno variabile” di Osvaldo Bevilacqua, tutto girato in esterni e con la partecipazione delle attuali figure professionali..

Il nuovo modello non chiede più una specializzazione verticale (regista o giornalista, operatore, montatore, tecnico della post produzione) sui singoli apparati ma, avendo reso più amichevoli gli apparati stessi, competenze trasversali, anche se basiche, di regia, messa in inquadratura, montaggio, gestione dell’audio, uso espressivo delle musiche, messa in onda. Ogni postazione è potenzialmente tutto il processo e quindi tutte le mansioni e, se si vuole, la fine dei mansionari come sono stati scritti fino a oggi. Il punto critico, in corso di implementazione di questo modello, sono le “estensioni” dei mansionari per i programmisti registi dell’area editoriale verso il videomaker e per il tecnico delle news verso una nuova figura che deve anche saper girare e montare.

Ne consegue che anche il reclutamento e la formazione del personale debbano cambiare. Il modello analogico presupponeva per il personale di regia e per i tecnici corsi di formazione della durata anche di quattro mesi. E’ evidente che le cose cambiano ma è altrettanto evidente che, per garantire la stessa qualità, è necessario modificare e aggiornare i criteri della formazione per arrivare a quella formazione continua di cui tutti parlano ma su cui riteniamo ci sia tanta ma tanta confusione. Naturalmente, e perdonerete la presunzione, siamo in grado di fare proposte precise e saremo lieti di avere interlocutori presso le Risorse Umane. E’ inoltre intenzione della UIL di approcciare questo processo di rinnovamento in maniera democratica e partecipativa coinvolgendo tutti i lavoratori, anche non iscritti evidentemente, invitandoli a comunicare da quanto non fanno formazione e aggiornamento e quali siano i loro bisogni di formazione, approfittando anche di questo sito e del suo Forum.

Questo sindacato ritiene che l’arrivo di queste tecnologie sia insieme un passaggio d’epoca ineludibile e un’occasione formidabile in ottica di rinnovamento e dà la sua disponibilità a partecipare positivamente e propositivamente a questo processo. Ma, e in questo il sindacato ritiene di essere molto più aziendalista dell’azienda stessa, in un processo pilotato che non svuoti le professionalità per andare a cercare la figura professionale con la retribuzione più bassa, in un’ottica di gestione miope che forse fa risparmiare qualche soldo oggi ma condanna la RAI all’afasia nell’immediato futuro. Vorremmo aggiungere che tra i compiti del Servizio Pubblico vorremmo annoverare una funzione di parametro di riferimento della professionalità e delle condizioni di lavoro. Non vogliamo essere dei privilegiati ma, con responsabilità, quelli che per competenze e sicurezza fanno da punto di riferimento stabilendo di fatto il confine con lo sfruttamento dei lavoratori in emittenti minori o società di produzione più o meno piccole.

Ancora: è intenzione del sindacato lavorare perché, alla luce dell’ingresso di RAI in quella che viene chiamata la Confindustria delle Televisioni, si ragioni su di una scuola nazionale di  formazione all’audiovisivo digitale che, in ottica di sistema paese e nello spirito del servizio pubblico, offra corsi per tutte le figure professionali dove possano accede i lavorati del settore, o gli aspiranti tali, al di là dell’emittente in cui andranno a lavorare e che sia pensata principalmente per coloro che, lavorando nei settori meno forti del nostro, hanno difficoltà a tenersi aggiornati rispetto allo sviluppo tecnologico.